Siamo abituati a relazionare gli elementi alla scienza, per cui studiamo la loro natura, la loro potenza riguardo la pericolosità verso la nostra sicurezza abitativa, oppure la loro utilità, duttilità, trasformazione, incanalamento a nostro vantaggio. Li abbiamo utilizzati per innovare, migliorare, avanzare nella vita quotidiana.
Sappiamo ormai tutto o quasi riguardo la terra, il fuoco, l’acqua e l’aria e in fondo pensiamo ormai di sapere tutto anche dello spirito, essendo questa un’era in cui, per esempio, la maggior parte dei cittadini italiani dichiara di essere atea.
Eppùre gli elementi, come molti altri aspetti della nostra vita, possono essere esaminati, compresi e, perché no, utilizzati, anche nel loro aspetto più archetipico, cioè che va oltre la spiegazione puramente tecnico-scientifica, rivestendo di interesse quella parte del loro manifestarsi che si può paragonare a degli aspetti del “movimento interiore” umano. L’archetipo: il pensiero prima del pensiero riguardo a…
Mi spiego meglio!
Molte parti della nostra vita possono essere osservate attraverso paragoni e metafore che collegano vari aspetti di ogni elemento a diversi aspetti dell’agire umano. Ne abbiamo esempi nella letteratura, nella poesia, nel teatro, nella danza, nelle arti in generale.
Quindi si scende in un terreno non più immaginario (la nostra mente decide forma, odore, colore, gusto, suono, nome di…), ma immaginale (l’energia che crea che trasmette a noi una percezione più profonda di…), cioè si entra nella stanza delle possibilità, in cui collegando lo guardo esteriore con quello interiore, possiamo giungere a cogliere aspetti degli elementi che si muovono in noi, che ci abitano, che ci sussurrano: Guardami! Anche tu funzioni così.
In ogni religione, filosofia, filosofia di vita, si accenna al fatto che la divinità è da ricercarsi anche nella natura. Una delle differenze di questa visione all’interno dei vari “movimenti dello spirito” umano è l’approccio verso questo assunto.
Chi vede la divinità come “trascendente”, che trascende, cioè esplica le sue attività al “di fuori” della natura “creandola”, con un’intenzione ben precisa, una motivazione non casuale, ma causale.
Chi vede invece la divinità come “immanente”, cioè facente parte della natura essendone l’espressione stessa, che compone via via gli ambienti, ne emana la forza, ne muove le manifestazioni, senza intenzionalità, ma semplicemente lasciando che accada ciò che gli elementi incontrandosi faranno accadere nel loro incontrarsi, appunto. Una normale conseguenza, che sottostà alla possibilità di comporsi in…
Nel primo caso, purtroppo, la deriva di questo pensiero/convincimento ha portato spesso l’uomo a pensare che la natura sia un oggetto da utilizzare, al “servizio” dell’uomo, che essendone l’espressione più alta può permettersi di depauperarla, violentarla, depredarla e ammirarla solo come mezzo riflettente un dio lontano, che l’ha appunto messa al “servizio” dell’uomo che può farne ciò che meglio crede, perché il meglio verrà dopo la vita qui.
Pensare e credere invece che la divinità sia immanente alla natura, permette di avere un profondo “timor reverenziale” versus tutte le manifestazioni naturali. Osservando l’ambiente come messaggero di concetti, lezioni, che permettono di scoprire parti di noi che nella quotidianità facciamo fatica a comprendere.